La “Bundesbank” è la banca centrale della Germania. La menzione di un possibile bisogno di “ricapitalizzazione” implica che ci possano essere delle preoccupazioni riguardanti la solidità finanziaria della banca in seguito agli effetti dei tassi di interesse o di altre condizioni di mercato.
Quanto costa la guerra all’inflazione? La stabilità monetaria è missione della Bce, un obiettivo senza limiti di tempo ne’ di spesa: lo ha dimostrato Mario Draghi con il suo bazooka salva-euro, ma lo sta confermando Christine Lagarde (in senso opposto) con la sua “tolleranza zero” contro l’inflazione.
Ma in quest’ultimo caso, con risultati ben poco incoraggianti.
L’obiettivo di riportare la dinamica dei prezzi al 2% resta lontano, l’economia europea rischia una recessione prolungata, i tassi di interesse sui bond sono ai massimi dalla nascita dell’euro e il mercato del credito bancario è sostanzialmente congelato. Ma soprattutto, la stretta asfissiante sulla liquidità sta letteralmente devastando gli stessi bilanci della BCE e dell’Eurosistema, con la Bundesbank che rischia addirittura una maxi-ricapitalizzazione per le perdite subite dal portafoglio di Titoli di Stato.
Otto anni di “allentamento quantitativo”, seguiti da un balzo record dei tassi a partire dal luglio del 2022, stanno aprendo una voragine nei conti della BCE: lo stop all’acquisto “straordinario” di obbligazioni, sommato all’effetto del caro-tassi, ha fatto crollare in pochi mesi i prezzi di ogni titolo di Stato, soprattutto di quelli che avevano un rating più alto come proprio i Bund tedeschi.
Il ritorno alla “normalità” della politica monetaria, in sostanza, sta diventando non solo un processo economicamente pericoloso, politicamente critico e tecnicamente controverso, ma anche un disastro contabile per la Bce e per le diverse autorità monetarie nazionali che la controllano: più salgono i tassi, più aumentano le perdite (potenziali) dell’intero portafoglio di Titoli di Stato che erano stati acquistati sul mercato a prezzi record negli anni della crisi.
Di questo passo, per ripianare le perdite che si stanno accumulando nei bilanci le banche dell’Eurosistema potrebbero essere presto costrette a chiedere iniezioni di capitale ai loro “azionisti”, cioè i governi, o come nel caso dell’Italia le banche commerciali.
Le stime del Fondo Monetario Internazionale e dei più autorevoli centri di ricerca sono impressionanti: le perdite da svalutazione ammonetrebbero a oltre 758 miliardi, pari al 5,7% del prodotto interno lordo dell’area euro, superando la somma degli accantonamenti generali, del capitale e delle riserve e dei conti di rivalutazione della BCE a fine 2021.
Un articolo di Daniel Gros e Farzaneh Shamsfakhr del Centro per gli studi politici europei con sede a Bruxelles, termina con un giudizio lapidario: “Le grandi partecipazioni obbligazionarie accumulate dall’Eurosistema negli ultimi otto anni – sostengono i due autorevoli economisti – hanno rappresentato una massiccia scommessa fiscale sul fatto che i tassi di interesse sarebbero rimasti bassi per sempre. Questa scommessa ora è andata clamorosamente storta.
È probabile che i contribuenti dell’area dell’euro perderanno circa 700 miliardi di euro nel prossimo decennio.” In particolare, le perdite cumulative peggiori per l’Eurosistema riguardano i Titoli di Stato tedeschi, quelli francesi, quelli italiani e quelli della Spagna: per l’Italia, la perdita di valore è stata quantificata finora i circa 160 miliardi di euro, mentre per la Germania si prevede un “buco” di oltre 200 miliardi di euro.
La Bundesbank, per la precisione, prevede di registrare perdite fino al 2026. Poiché la Bce non mollera’ la presa sulla liquidità almeno per un altro anno, il rischio di dover ricapitalizzare le banche centrali diventa sempre più concreto. Il problema, oggi, è con quali implicazioni.
Da un punto di vista puramente economico, le banche centrali possono sopportare le perdite senza gravi difficoltà. Tecnicamente non possono andare in “bancarotta” e possono ricorrere a molti espedienti diversi per colmare i buchi dei loro bilanci. Tuttavia, i problemi affrontati dall’area-euro potrebbero diventare gravi a causa della natura eterogenea dell’unione economica e monetaria europea. Nout Wellink, ex presidente della De Nederlandsche Bank (1997-2011) e già membro del consiglio direttivo della BCE (1998-2011) – è stato uno dei primo banchieri europei a lanciare l’allarme: “la dinamica delle perdite sui bond e la probabile necessità di procedere a operazioni di ricapitalizzazione delle autorità monetarie – ha scritto Wellink in un articolo pubblicato dal centro studi economici europeo OMFIF – potrebbero avere un grave effetto negativo sulla credibilità della BCE”.
I problemi maggiori, in questo senso, riguardano la Germania.
Oltre al dibattito puramente economico, infatti, la Bundesbank è interessata da una serie di cause legali, passate e presenti, presso la Corte costituzionale tedesca di Karlsruhe, che potrebbero limitare la sua azione di politica monetaria, con ripercussioni potenzialmente gravi per il resto dell’Eurosistema.
In un contesto di forte rallentamento economico o addirittura di recessione in Germania e in altri paesi europei, il dibattito su queste perdite sta rapidamente giungendo al culmine: le banche centrali non possono fallire, ma a pagare i loro “errori di manovra” sono i contribuenti.
I governi, del resto, non possono eludere le responsabilità per le azioni intraprese dalle banche centrali che, sebbene operativamente indipendenti, sono in ultima analisi ritenute responsabili dagli Stati e dai contribuenti.
Le perdite delle banche centrali dell’area euro sono causate da squilibri nelle entrate e nelle uscite per due diverse ragioni. In primo luogo, con un QE pesante e forse eccessivo negli ultimi 10-15 anni (accelerato dalla pandemia del Covid-19), l’Eurosistema ha aumentato significativamente le sue partecipazioni in titoli di Stato costosi e a basso rendimento, in alcuni casi negativi. In secondo luogo, l’aumento tardivo ma (una volta iniziato) accelerato dei tassi di interesse negli ultimi 15 mesi ha aumentato notevolmente il costo delle passività delle banche centrali, riducendo al contempo il valore delle loro attività.
Il bilancio complessivo dell’Eurosistema è quasi raddoppiato durante la pandemia, passando da 4,7 trilioni di euro alla fine del 2019 a 8,6 trilioni di euro alla fine del 2021. Ma è sceso a 8 trilioni di euro alla fine del 2022 e da allora è sceso ulteriormente fino agli attuali 7 trilioni. Ciò riflette il rallentamento del QE e il previsto rimborso da parte delle banche dei prestiti concessi nell’ambito delle operazioni di finanziamento a lungo termine mirate della BCE. A questo proposito, è bene ricordare la stangata che si preparano ad affrontare le banche italiane: entro marzo 2023, il sistema dovrà restituire a Francoforte oltre 170 miliardi di euro.
Come ha affermato Ashok Bhatia, uno dei coautori di un documento del Fondo monetario internazionale del luglio 2023 sui bilanci delle banche centrali dell’area euro, “La BCE ha eseguito uno scambio di tasso fisso con tasso variabile per il debito pubblico. Ciò lascia la BCE e le banche centrali nazionali sue azioniste con un’ampia esposizione sui tassi di interesse nell’attuale ciclo restrittivo”.
Anche se la BCE preferisce non parlarne, è chiaro che l’indebolimento netto dei bilanci dell’Eurosistema è significativamente maggiore di quanto previsto all’avvio del QE su larga scala nel 2015 e superiore a quanto previsto fino a poco tempo fa. Le stime sulle perdite delle banche centrali sono spesso circondate da incertezze, ma nel caso dell’Europa sembrano quasi una scommessa.
A differenza di altre banche centrali come la Banca nazionale Svizzera, con la sua quota particolarmente elevata di attività estere, comprese le azioni, l’Eurosistema non valuta il suo intero bilancio ai prezzi di mercato. Come sottolinea il documento del FMI, “la contabilità dei costi ammortizzati presso l’Eurosistema impone che gli effetti di valutazione sul QE book si realizzino solo se i titoli vengono venduti a titolo definitivo”.
In altre parole, anche se i prezzi dei bond crollano, il loro valore in bilancio non cambia finché le banche centrali non li vendono definitivamente sul mercato: solo allora diventano profitti o perdite.
Con questo meccanismo, le diverse banche centrali dell’Eurosistema sostengono perdite di entità diversa e le contabilizzano in modi differenti. Le banche centrali dei paesi settentrionali dell’eurozona, con i rating di credito più alti, stanno subendo le maggiori perdite nominali perché le loro obbligazioni offrono i rendimenti più bassi. “Proprio per questa ragione – aggiunge l’ex governatore della Banca centrale d’Olanda – i critici della Bundesbank sottolineano che avrebbe dovuto accettare nel 2014-2015 di acquistare debito pubblico con rating più basso (come i bond italiani) così come titoli tedeschi durante le discussioni fondamentali sull’avvio del QE.
Inoltre, la Bundesbank avrebbe potuto decidere, nell’ambito delle procedure del programma di acquisto di emergenza pandemica, di non acquistare l’intera quota di titoli di Stato tedeschi nel 2020-22, il che avrebbe sia ridotto gli spread dell’area euro sia ridotto le sue eventuali perdite”.
Comunque sia, quello che è certo è che la questione delle perdite della Bundesbank sia destinata a diventare un serissimo problema per l’Eurosistema. La Banca centrale tedesca è infatti “ingessata” da una serie di cause legali, passate e presenti, presso la Corte costituzionale di Karlsruhe che potrebbero limitare la sua azione di politica monetaria e quella della stessa BCE.
Nelle sentenze sulle transazioni monetarie del 2016 e sul programma di acquisto del settore pubblico nel 2020, Karlsruhe ha stabilito l’obbligo per il Bundestag (il parlamento tedesco) di dare la previa approvazione per qualsiasi programma monetario che potrebbe portare a “passività incalcolabili a carico del bilancio tedesco”. E ha obbligato il governo a ricapitalizzare la Bundesbank con “un importo adeguato” nel caso in cui le perdite finanziarie ne compromettessero il funzionamento. Non solo.
A complicare la situazione di Christian Lindner, il ministro delle Finanze tedesco, è una pericolosissima sfida legale lanciata nella primavera scorsa da un ricorso presentato dalla Corte dei conti tedesca.
La Corte ha affermato che il ministero “non ha controllato in modo indipendente i rischi sul bilancio della Bundesbank quando ha firmato i conti del 2022 della banca centrale”. La relazione della Corte dei conti, datata marzo 2023, è venuta alla luce a luglio ed è stata inviata alla Corte costituzionale nell’ambito di una denuncia legale presentata nel marzo 2021 contro il PEPP, il programma di acquisto dei titoli di Stato.
Secondo la dottrina consolidata delle banche centrali, la politica monetaria ha sempre la priorità rispetto alle questioni di bilancio. Tuttavia, il caso della Bundesbank mostra la difficoltà di risolvere i conflitti tra le due posizioni: “Le azioni che la Bundesbank potrebbe favorire per scopi di politica monetaria – alzando ulteriormente il tasso di deposito della BCE e accelerando la graduale eliminazione degli acquisti di titoli ponendo fine al reinvestimento del PEPP prima del previsto, o addirittura avviando vendite definitive – conferma il presidente del Centro studi Omfif, aggraverebbero le perdite”.
Gli acquisti netti di obbligazioni nell’ambito del PEPP sono stati interrotti nel marzo 2022. Ma l’Eurosistema continua a gestire il PEPP perché le obbligazioni in scadenza vengono reinvestite, nell’ambito di un processo che la BCE attualmente afferma di voler continuare almeno fino alla fine del 2024.
Anche se è legittimo chiedersi perché la BCE abbia deciso di proseguire il reinvestimento del PEPP una volta finita la pandemia, la risposta appare scontata: con la flessibilità del reinvestimento dei bond sovrani, l’Eurosistema può intervenire con discrezione per evitare un ampliamento degli spread tra i titoli di Stato tedeschi e italiani.
La pressione per la ricapitalizzazione della Bundesbank, insomma, potrebbe aumentare in modo esponenziale sia a causa
delle perdite che si accumulano sui bond, sia a causa dell’azione legale all’esame della Corte costituzionale tedesca. Ma come è ovvio, almeno per la Germania, il problema del buco in bilancio non è di carattere finanziario: è soprattutto politico.
Anche se la ricapitalizzazione può essere effettuata in modo relativamente semplice – il governo trasferisce Titoli di Stato alla banca centrale e prende in cambio capitale azionario – a renderla difficile (e certamente a sconsigliarla) e’ però la certezza dello “stigma” che cadrebbe sulle spalle della coalizione di governo: in un periodo pre-elettorale già rovente, affrontare gli attacchi dell’opposizione e le proteste dei contribuenti per i danni della politica monetaria rischia di compromettere ulteriormente la fiducia dei tedeschi sul cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz e sul ministro del Tesoro Lindner, leader del Partito liberale democratico e suo successore al ministero delle Finanze. “La situazione è talmente incerta e complessa – è scritto nel rapporto del think tank Omfif – da risultare più grave di quella affrontata dalla Bundesbank negli anni ’70, quando subì forti perdite a causa del calo del valore del dollaro rispetto al marco tedesco, che colpì le sue ingenti riserve valutarie”.
Le incognite e la pericolosità di questa situazione sono certamente chiare al vertice della BCE, già sotto pressione per i risultati modesti della guerra all’inflazione: anche con i tassi di interesse al 4,5%, riportare la crescita dei prezzi al 2% resta un obiettivo lontano.
Comunque sia, il documento dell’FMI solleva molte domande. La prima, è per quale motivo il Fondo – e non la stessa BCE – abbia avviato la prima indagine seria sul bilancio dell’area euro. Il documento evidenzia le differenze nelle procedure e metodologie contabili nonché nelle politiche sulla distribuzione degli utili e sugli accantonamenti tra le banche centrali dell’area euro. Nell’interesse della trasparenza pubblica, queste banche centrali dovrebbero cercare di armonizzare i loro approcci.
Ciò è importante anche alla luce degli sforzi per allineare le regole contabili europee per contribuire a spianare la strada all’unione dei mercati dei capitali in Europa.
Le questioni sollevate nel documento del FMI, infine, influenzeranno probabilmente un dibattito più ampio sul volume e sulla composizione delle elevate riserve bancarie nell’area dell’euro, ora intorno ai 3,5 trilioni di euro. La Bce e le banche centrali nazionali dei suoi azionisti hanno deciso nelle ultime settimane alcune misure relativamente minori per mitigare le perdite sulla remunerazione delle riserve depositate dalle banche commerciali e dagli enti governativi.
Con un passo che ha colto alcuni di sorpresa, il 4 agosto la Bundesbank ha deciso di ridurre a zero, a partire dal 1° ottobre, il tasso di interesse sui depositi del governo e degli enti pubblici tedeschi. In un’azione più generale, il consiglio della BCE ha deciso il 27 luglio di ridurre a zero, a partire dal 20 settembre, il tasso di interesse sulle riserve minime, che si applica a un livello relativamente basso dell’1% dei depositi.
L’operazione è stata poi ripetuta nel settembre scorso, con l’obiettivo di drenare la liquidità in eccesso, mantenere una politica monetaria relativamente restrittiva e migliorare la posizione di profitto: alcuni membri del consiglio direttivo sono favorevoli ad un forte aumento delle riserve minime infruttifere anche nei prossimi mesi.
I rischi di questa manovra sono emersi chiaramente in Italia, dove il tentativo del governo di imporre una maxi tassa straordinaria sui profitti bancari, ha scatenato un terremoto borsistico sui titoli del settore.
Come è evidente, la BCE dovrà essere molto cauta riguardo al possibile impatto, sia sui mercati finanziari che sul comportamento dei prestiti bancari, dei cambiamenti troppo affrettati nei requisiti di riserva e nella remunerazione e sulle questioni interconnesse delle politiche di reinvestimento del QE. Ci si può aspettare molto più dibattito prima che la BCE prenda le decisioni necessarie.